Le origini della chiesa di San Fedele sono millenarie: un edificio religioso esisteva in Pendolasco già all’inizio del Duecento, infatti nel 1213 vi officiava Giovanni di Agneda1; di esso, però, non viene specificata la dedicazione. Risale al 1251 la prima menzione della chiesa di San Fedele detta di Montagna, comune al quale apparteneva il territorio ad essa soggetto2. La sua presenza è di nuovo testimoniata nel Trecento, grazie al testamento dettato da Giacomino del fu Menegoto da Pendolasco il 7 febbraio 1349, in cui le destinò uno staio e ½ di olio per alimentare le lampade oltre ad una rendita in favore del curato di Montagna, con la clausola di essere seppellito in San Fedele, e ad un quantitativo di vino e di pane da distribuire ai poveri di Cristo, cioè agli indigenti, di Pendolasco3.
Nel Quattrocento a Pendolasco erano presenti influenti e ricchi personaggi che spiccavano nella società valtellinese del tempo, fra cui Stefano da Pendolasco che era ritenuto fra i più ricchi e potenti uomini della valle. In quel clima favorevole, le contrade di Pendolasco, Dosso Boisio e Surana pensarono di ingrandire l’edificio duecentesco, lasciando tracce tardo medievali significative, quali l’architrave del portone principale e i portali delle entrate laterali, dove Stefano, o qualcun altro della sua famiglia, ha lasciato traccia del proprio prestigio e potere nei due stemmi scolpiti nella pietra.
Nel 1514, a soli due anni di distanza dalla presa di possesso della Valtellina e dei contadi di Chiavenna e Bormio da parte dei Grigioni, gli antenati chiesero la separazione della cura di San Fedele di Pendolasco dalla chiesa matrice di San Giorgio di Montagna.
I "vicini" di Pendolasco, Dosso Boisio, Surana e Ca Formolli inviarono una petizione al vescovo di Como, Scaramuzia Triulzi, evidenziando i motivi per cui chiedevano il distacco. Prima di tutto sottolinearono le distanze che intercorrevano tra le loro contrade e la chiesa di San Giorgio di Montagna, nonché il pericolo rappresentato dall’attraversamento del torrente Davaglione, soprattutto in inverno, quando il gelo e il ghiaccio rendevano insidioso il loro cammino e impossibile raggiungere la suddetta chiesa e ricevere i sacramenti o battezzare i bambini. Non da ultimo la popolazione era aumentata di numero e il sacerdote in carica non era in grado di assolvere i gravosi impegni conseguenti, soprattutto quello di somministrare l’estrema unzione ai moribondi.
Il Vicario generale, Guglielmo de Citadinis, ascoltò le istanze dei loro rappresentanti, quindi, rassicurato dal fatto che la chiesa di San Fedele era dotata del fonte battesimale, del campanile, del cimitero, nonché di beni immobili e che al parroco sarebbe stata garantita una rendita sufficiente al suo sostentamento, eresse ed istituì a parrocchia con proprio beneficio curato la chiesa di San Fedele. Successivamente il parroco eletto dai capifamiglia della quattro contrade, Paolo Galli di Pendolasco, fu confermato dal vescovo.