L’incontro ha avuto un unico tema “Storia, restauro, conservazione e criticità”, sviluppato da tre relatori con competenze specifiche di alto livello: Franca Prandi, studiosa di storia locale nonché presidente della Associazione San Fedele che ha commissionato il restauro, Gian Luca Bovenzi, storico dell’arte e dei tessuti, e Cinzia Oliva, una delle massime autorità nazionali nel campo del restauro dei tessili antichi, che è stata la restauratrice del manufatto, consegnatole nel luglio del 2019.
Nella presentazione della serata Mariangela Cederna, consigliere della Associazione San Fedele, si è soffermata sul significato che oggi, nel terzo millennio può avere l’investire nel restauro di un vetusto stendardo realizzato nel Seicento a scopo processionale. A partire dalla Riforma Cattolica notevole fu l’impulso dato alla realizzazione di manufatti preziosi che celebrassero presso i fedeli gli eventi salienti della vita di Cristo o le figure dei Santi. Allora dobbiamo immaginare l’impegno finanziario dei nostri avi, gente umile animata da fede profonda, per commissionare uno stendardo “di lusso” con un santo a cui rivolgere preghiere, invocazioni, suppliche, ma anche un manufatto in cui la comunità di Pendolasco si potesse con orgoglio identificare. Facevano a gara i fedeli dei vari paesi tra loro vicini per chi in processione avesse lo stendardo più bello. Era un’affermazione di prestigio, di identità da parte della comunità locale. Lo stendardo è essenzialmente testimone silenzioso della devozione popolare. Ci parla di una fede che è fiducia, abbandono alla volontà di Dio, patto, alleanza tra l’umano e l’arcano.
I nostri avi uscivano da case modestissime, da povere cucine spesso annerite dal fuoco su cui si cucinava, poi eccoli in processione portare in trionfo l’immagine del santo patrono, eccoli ammirare smagliante, sfavillante, lo stendardo che brillava nei suoi tessuti preziosi, nei fili d’oro e d’argento di cui è intessuto. Oggi tutto questo ci impone una riflessione nuova sul senso, sul valore della religiosità popolare. Se è vero che l’esperienza di fede travalica le regole della ragione, attraverso i segni percorre strade nuove che entrano nella profonda essenza dell’uomo, colmano il vuoto di senso, l’angoscia della mancanza, il buio del mistero, ecco allora che la pietà popolare va letta in una luce nuova, con criteri nuovi di decodificazione. La pietà popolare è tutt’altro che fede ingenua infantile, ha una forte connotazione teologale, ci fa cogliere la dimensione antropologica dell’esperienza cristiana. L’atto devozionale, non il bieco devozionismo, esprime una profonda esperienza di spiritualità. Lo stendardo di San Fedele è certamente il ricordo di un mondo lontano da conservare con il rispetto dovuto agli antenati, è certamente una preziosa opera d’arte da ammirare. Ma è anche qualcosa di più: attraverso il suo linguaggio simbolico è portatore di senso, di sapienza. Per tutto questo, l’Associazione San Fedele, col permesso del parroco, stimolata anche dal giudizio lusinghiero del dott. Gian Luca Bovenzi (quando venne a esaminare i nostri tessuti religiosi e poi scrisse sul valore artistico dell’opera), ha pensato al restauro. Nel suo intervento, Franca Prandi ha affrontato, col supporto tecnico di efficaci slide, la parte storica, delineando i tratti salienti della vita di San Fedele, soldato di alto rango vissuto alla corte milanese dell’imperatore Massimiano tra la seconda metà del III e l’inizio del IV secolo. Convertitosi al Cristianesimo, Fedele fugge con Carpoforo, Esanzio e altri compagni verso Como, poi da solo arriva alla sommità del lago dove è raggiunto e decapitato dai soldati imperiali durante una delle più cruente persecuzioni anticristiane.
Il culto di questo martire ben presto si diffonde nella diocesi di Como. In tempi sconosciuti a Pendolasco viene eretta una chiesetta dedicata a San Fedele: di questo edificio la prima testimonianza finora nota risale al 1251. L’attuale chiesa parrocchiale ospita, oltre allo stendardo, molti segni sacri della dedicazione al Santo: l’architrave del portale principale (XV secolo), una vetrata del catino absidale, i teleri di Alessandro Parravicini, un affresco del soffitto della navata e, soprattutto, i pregevoli tredici stalli lignei del coro, opera di Giovan Battista Zotti (XVIII secolo).
Il manufatto restaurato è citato per la prima volta nella relazione stesa dal curato Francesco San Benedetto, in occasione della visita pastorale del vescovo Bonesana, nel 1697. Gian Luca Bovenzi ha presentato dal punto di vista artistico il prezioso manufatto. Databile al primo quarto del XVII secolo per i ricami e tra la seconda metà del Settecento e il Novecento per i tessuti, lo stendardo costituisce a parere dello studioso “un oggetto di altissimo livello qualitativo e artistico”. Benché esso abbia subìto nei secoli manomissioni e restauri, sono rimaste intatte le bellissime figure create con l’impiego e l’intreccio di diverse tecniche. Il volto e le mani sono state realizzate a pennello su un fondo di raso di seta, mentre le vesti e la croce sono eseguite in teletta d’oro dipinta e ricamata con paillettes, canutiglia e filati metallici a punto lanciato, punto filza e punto posato. Con tecniche specifiche come l’applicazione di elementi con ritaglio e incollaggio, l’opera acquisisce plasticità e tridimensionalità, come nel caso della teletta della lorica del martire soldato, un tessuto in seta reso luminoso e drappeggiato da lamelle modellate singolarmente. Tutti elementi che fanno attribuire l’opera a una bottega di primissimo piano di area lombarda. Cinzia Oliva ha spiegato le ragioni del degrado dello stendardo: dipendono dal modo in cui è stato confezionato e utilizzato. La compresenza di materiali diversi, il filato di ricamo e soprattutto il pesante filato metallico hanno rovinato la parte realizzata in seta. Anche il metodo di conservazione - veniva piegato in tre parti prima di essere riposto nell’armadio - ha compromesso il manufatto che ha ricevuto nel tempo, fatto salvo il rispetto delle buone intenzioni, grossolani punti di rammendo e interventi con colla da falegname. Interessante l’osservazione della studiosa circa le dimensioni dello stendardo: originariamente esso era più alto di almeno trenta centimetri: nel verso Maria e San Giovanni non erano all’altezza della croce, ma in una posizione più bassa. I tessuti sono stati smontati, scuciti, puliti. Con tecniche di alta specializzazione i ricami sono stati protetti, integrati, consolidati. Alcuni parenti di don Damiano Mottolini hanno voluto far memoria dello zio sacerdote, nativo di Poggiridenti, in occasione del ventennale della sua scomparsa, finanziando questo restauro. Ai nipoti Consiglia e Lorenzo Menatti coi figli, alla nipote Celestina Mottolini coi figli e ai pronipoti figli di Lucia e Guido Mottolini l’Associazione e l’intera comunità esprimono il grazie più profondo. Ai presenti sono stati distribuiti, a cura dell’associazione San Fedele, un pieghevole con una breve presentazione dello stendardo e un segnalibro. L’Associazione San Fedele esprime gratitudine alla giornalista Clara Castoldi, cittadina di Poggiridenti, sempre attenta nel seguire con entusiasmo e competenza gli eventi realizzati dal sodalizio.
Mariangela Cederna, consigliere della Associazione San Fedele